È un giugno di importanti debutti per il Balletto della Scala, che dopo il trittico «Novecento», ormai giunto alle ultime date, proporrà da domani al 30 giugno l'ultima rappresentazione al Teatro degli Arcimboldi (dopo tre anni la Scala lascia il palco della Bicocca). Per l'occasione la rivisitazione della Carmen di Bizet ad opera del coreografo Amedeo Amodio, con adattamento e interventi musicali di Giuseppe Calì. Ma ciò che vedremo in scena non sarà una semplice «rivisitazione in danza» dell'Opera, quanto un'inedita Carmen che poggia sulla tecnica del «Teatro nel teatro», se possiamo prendere in prestito la parola dalla prosa di derivazione pirandelliana. «L'Opera di Bizet è ormai conclusa – spiega Amedeo Amodio – ed il sipario si chiude su Carmen che giace a terra morta. Ci si prepara a smontare la scena e a sistemare le quinte, ma aleggiano nell'aria i fantasmi del dramma appena concluso: ne sono vittime ballerini, musicisti e coristi, ma anche macchinisti o camionisti addetti al trasporto delle attrezzature. E proprio quest'ultimo sarà inconsciamente «catturato dallo spirito» di don Josè, rapito dallo sguardo di una violinista-Carmen che poco prima aveva dato vita sul palco alla musica di Bizet. Escamillo «si manifesta» invece in un estimatore dell'Opera che vuole consegnare dei fiori a Carmen (l'interprete dell'Opera appena conclusa), mentre Micaela è una semplice attrezzista». È questa l'affascinante idea dalla quale prende vita il balletto, reso ancor più magico dalla ragione che ha spinto Amodio ad idearlo.
«Mi ha sempre affascinato il dopo-spettacolo – spiega Amodio – perché quando tutto è andato per il meglio nell'aria c'è un'energia che “disarma”. Ricordo un episodio che mi ha segnato: al termine dell'“Anna Bolena” interpretata dalla Callas, dopo l'applauso, dietro le quinte regnava il più assoluto silenzio: tutti immobili, macchinisti e cantanti. C'era una magia che catturava». E grazie alle scene e ai costumi di Luisa Spinatelli questa Carmen sarà all'insegna del «Gitano Universale», spogliata quasi «in toto» dai riferimenti al folklore spagnolo. «Il progetto iniziale era quello di creare un balletto che potesse cambiare ogni sera – continua a spiegare Amodio - grazie alle scene che formano blocchi autonomi. Purtroppo abbiamo dovuto desistere, ci sarebbero stati troppi problemi per l'orchestra (dell'Accademia del Teatro alla Scala, diretta da David Garforth)». Perché il fine del coreografo non è quello di narrare la Carmen tramite la successione degli avvenimenti, quanto quello di portare sul palco caratteri ed emozioni dei soggetti dell'Opera, ma anche dei ballerini, ai quali ha lasciato un margine d'autonoma espressione. E quest'ultimi sono l'étoile Roberto Bolle (don Josè per la prima volta in carriera) e Marta Romagna, nel ruolo di Carmen, che sarà compagna per due repliche anche del primo ballerino Mick Zeni. Per due serate saliranno in scena anche la Carmen Deborah Gismondi ed il Josè Riccardo Massimi.
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